Il corpo alieno di un'opera collettiva

BIENNALE DI VENEZIA - da il Manifesto del 26.06.2005
[di Marcello Tarì e Francesco Raparelli]

Vie di fuga Da due protagonisti delle esperienze di «Mars Pavilion» e di «Sten & Lex» una proposta di analisi sul rapporto tra arte, prassi produttiva e attivismo politico


La Biennale di Venezia è la mostra del «corpo», l'irruzione del mostruoso, perchè corporeo e materiale. Il ministro della cultura Rocco Buttiglione ha parlato di arte oscena e al corpo preferisce l'embrione e la vita. «Questo sì che sarebbe un tema in grado di decostruire il potere», dice. La vita, con la sua carica misteriosa di trascendenza, che comanda sul corpo. La materialità corporea del lavoro vivo, degli affetti e del linguaggio sono però divenuti premessa della valorizzazione e posta in gioco del conflitto. La produzione tutta è oscena, anzi ha imparato dall'oscenità dell'arte - creazione e non semplicemente trasgressione - il modo per far lievitare i profitti e la propria capacità di captazione della ricchezza sociale. Nei giorni delle sua inagurazione, a due passi, meglio nel cuore, della Biennale poi sono atterrati i «marziani». Mars Pavilion (www.marspavilion.org) è stata l'occupazione che attivisti del mondo artistico, del laboratorio Morion e delle reti di precari e di studenti, hanno fatto «mostruosamente» irrompere nella scena veneziana. Oscenità nell'osceno. Non solo l'oscenità dell'opera ma quella della cooperazione, della costruzione comune, dell'occupazione, della creazione a partire da flussi sociali e da concatenazioni inedite. Manifesto dell'opera collettiva, del pianetà delle possibilità, del pianeta aperto al conflitto, una lunga video-intervista (scaricabile sul sito) fatta a Toni Negri dal titolo «arte e multitudo».

Venti minuti aperti dal ricordo della contestazione sessantottesca alla Biennale tesi però a sottolineare che «l'avanguardia semplicemente non esiste, è sempre interna ai movimenti, lavora sempre in rete». Ma anche per evidenziare un «legame pericoloso» tra esperienza artistica e prassi produttiva, visto che «la sensibilità politica degli artisti insiste sulle nuove forme affettive e linguistico-relazionali del lavoro contemporaneo». Questi ci appaiono alcuni dei nodi pratico-teorici attorno al quale è cresciuta e si è sviluppata l'esperienza di Mars Pavilion.

Alcuni dei protagonisti hanno parlato di «esperimenti di ricomposizione e di lavoro comune sui frammenti di suono, di immagine, di pensiero che scorrono caotici nella moltitudine». Si tratta di Interno 3, video artisti che lavorano lungo la traccia di un decostruttivismo radicale. Andrea Morucchio, scultore e viedo artista, parla di Mars Pavillion come di «un laboratorio di geomanzia, luogo nel quale, cioè, si crea magnitudo che attrae le linee di forza creativa metropolitana e lavora sulla loro eccedenza».

Una tappa, quella dell'occupazione del padiglione, con premesse solide. Un lavoro di connessione e di elaborazione comune iniziata al Laboratorio Morion diverse settimane fa. Un lavoro intenzionato ad andare lontano. Non un evento estemporaneo, quindi, non una contro-mostra, piuttosto un esperimento di autorganizzazione del lavoro artistico, creativo, intelligente. La questione del lavoro artistico e della coincidenza sempre più piena tra prassi produttiva e creatività è diventato dibattito significativo nei movimenti dopo l'esplosione, nel luglio del 2003, del movimento degli intermittanti francesi.

Molta parte dei movimenti italiani fecero esperienza di questa straordinaria lotta nel novembre dello stesso anno, durante il forum sociale europeo di Parigi. Si trattò di una relazione fondamentale. Quest'anno Parigi ha ospitato la prima MayDay Parade in connessione con tutte le altre metropoli europee, il contributo organizzativo degli intermittenti è stato determinante. «Abbiamo imparato a parlare una lingua volgare, la lingua dei nostri diritti», hanno cominciato a dire gli intermittenti. Come dire, dell'aurea ne facciamo volentieri a meno, preferiamo una lirica materialissima che parla di reddito e di tempo libero per creare.

In Italia l'esperienza artistica ha attraversato per intero la fase espansiava dell'autogestione e dei centri sociali, passando per l'intensità della combinazione tecno-comunicativa del video e del mediattivismo. Un «fare altro», piuttosto che una battaglia sulla precarietà. Meglio, una battaglia sul reddito e sulla precarietà agita in altro modo.

Eppure queste cose sembrano intrecciarsi, come testimonia anche l'esperimento di Mars Pavilion. Una nuova modalità di rapporto tra esperienze artistiche motropolitane e spazi autogestiti. Una concatenazione di flussi piuttosto che una semplice coabitazione. Una prova interessante e significativa, la mostra di Sten & lex ad Esc (San Lorenzo, Roma). Figure misteriose della stencil art romana sono giunti in questo luogo autogostito per una temporanea sosta, passando lungo i bordi dei muri e delle serrande.

Testimonianza evidente, al pari di Mars Pavilion, che non esiste più un «fuori» nell'esperienza artistica e organizzativa della metropoli. Non c'è nessun «riparo esterno», nello spazio occupato, quanto piuttosto un'attraversamento che produce, che connette forme di vita diverse, apre possibilità di relazione. Un attraversamento che produce lavoro comune e cooperazione. Artisti e attivisti sono entrambi, quando non coincidenti nella persona fisica, sprovvisti di «fuori», sempre in movimento, sempre «in mezzo»: si rincorrono e si connettono tra le strade e i bordi dei muri, tra le serrande e i sogni concreti, distopici, metropolitani.